Corpo e società si costruiscono allo stesso modo:
compiendo testardamente e instancabilmente un piccolo sforzo dopo l’altro.
Avis, come tutte le grandi organizzazioni, si incontra e si scontra con i cambiamenti della società, demografici, culturali, valoriali. Le modalità di gestione di tali trasformazioni diventano aspetti fondamentali che concorrono a disegnare e plasmare l’identità dell’associazione stessa. In questo quadro risulta quindi importante domandare e domandarsi come l’associazione risponde a processi di inclusione e di integrazione di nuove culture, così come al passaggio generazionale. In che modo la valorizzazione delle differenze e i processi di innovazione trovano spazio nella sensibilità e negli obiettivi dell’associazione.
LE VOCI DAL CAMPO
C’è una difficoltà diffusa all’interno dell’associazione relativamente alla dimestichezza con nuovi strumenti e modalità di lavoro. Il rischio è quello di escludere alcuni interlocutori e di non rendere egualmente efficace il passaggio di informazioni a tutti i livelli associativi.
L’innovazione di Avis consente di aumentare la partecipazione da parte dei donatori. Più utilizzi mezzi comunicativi attuali, più sei in grado di attirare l’attenzione. Senza tenere conto che poi, come in tutte le cose, se ogni tanto non si fa qualcosa di nuovo la gente si stanca.
Noi ci troviamo spesso a parlare di rinnovamento, di ricambio generazionale… ci riempiamo la bocca di queste cose che adesso vanno tanto di moda, senza renderci conto che i giovani ci sono e partecipano e che siamo noi a non essere in grado di dare loro il dovuto spazio.
Nelle piccole AVIS è ancora peggio, c’è il culto dell’individualismo e il presidente diventa il padre-padrone della comunale, facendo cinque o sei mandati senza nessuna forma di ricambio e di passaggio di testimone. Così Avis scompare e si vengono a creare delle proprietà private.
Secondo me Avis non valorizza le competenze per ricoprire dei ruoli. C’è una mentalità fortemente territoriale, per cui si preferisce spesso fare in modo che le Avis di base siano rappresentate a livello nazionale, piuttosto che inserire in consiglio persone più adatte in termini di competenze acquisite e di esperienza pregressa.
Con il rischio poi di portare avanti le istanze della ‘base’ piuttosto che ragionare in una dimensione più ampia. Perché quando
si lavora a livello nazionale bisogna essere consiglieri di tutte le Avis non solo di alcune!
LE DIMENSIONI IN GIOCO
Apertura al nuovo Semi da piantare, alberi da coltivare
"Noi dobbiamo confrontarci con il fattore immigrazione, dobbiamo imparare a entrare in contatto con gli immigrati e con il loro modo di concepire la donazione di sangue… da noi c’è una grossa comunità di rumeni e io mi sono avvicinato a loro e gli ho spiegato… ho anche detto loro che se vanno a donare hanno le analisi gratis. Però questa cosa da molti dirigenti non è accettata e dicono ‘se vogliono fare le analisi vanno a donare in una struttura ospedaliera, ma noi li possiamo controllare facendo così!".
"Spesso noi parliamo nei nostri incontri del bisogno di cambiamento e rinnovamento e non capiamo che il più dipende da noi perché i giovani ci sono, siamo noi che dobbiamo dare loro il dovuto spazio e la possibilità di esprimersi. Facciamo fatica a cambiare e ad aprirci al nuovo o semplicemente al diverso. Mi ricorderò per sempre un’assemblea che abbiamo fatto qualche anno fa in cui era emersa la proposta di modifica delle benemerenze. Io ingenuamente pensavo che saremmo stati tutti d’accordo e che nessuno avrebbe avuto alcun tipo di problema. E invece… ho stampata nella mente l’immagine di alcuni delegati di una certa età, tutti schierati in prima fila, che hanno alzato la mano e bocciato in maggioranza queste modifiche.
"Si vede lontano un miglio che Avis ha 80 anni: è difficile ragionare in termini innovativi e a gestire il cambiamento si fa fatica. Ripenso alla web radio, abbiamo cercato di fare associazione con strumenti che sentivamo più nostri, più adatti e più in grado di coinvolgere i giovani donatori e quelli che saranno poi i futuri dirigenti. Ci sono state però molte resistenze perché il consiglio nazionale, che è formato da persone di una certa età, è ancorato alle solite modalità comunicative e alle solite campagne pubblicitarie, che danno sicurezza. Uno strumento come la web radio non lo conoscono e fa paura. Il rischio più grande è che i giovani si stufino e che dicano: se devo fare tutta questa fatica vado da un’altra parte, visto che il bene si può fare in tanti modi e in posti diversi non solo in Avis".
Cultura diffusa e condivisa di crescita e di ricambio generazionale Un'integrazione di mondi e prospettive non solo per il gusto di cambiare
"I soci donatori giovani sembrano non avere interesse a coinvolgersi, ad impegnarsi e a partecipare alla vita associativa. |
“Noi abbiamo un gruppo giovani che non ho ancora capito bene cosa faccia. Nel senso che è composto da ragazzi volenterosi a cui però l’Associazione non da assolutamente spazio. La mia paura è che tra qualche anno le persone che Faccio un esempio: i giovani avevano proposto di utilizzare FB per la promozione di Avis e della donazione del sangue. Il presidente attuale però non sa neanche cosa sia Facebook e non ha accolto la loro idea. A me era parsa invece un’ottima iniziativa perché ritengo che quello strumento abbia una grossa influenza sui ragazzi. Lo vedo anche su mio figlio.". |
"La nostra comunale è costituita da persone di età avanzata e per questo qualsiasi forma di innovazione diventa sempre una lotta: sai già che se presenti un’idea originale o diversa devi farti una litigata pazzesca, sai già che ti metteranno i bastoni tra le ruote. O segui i canali tradizionali, oppure devi lottare. Negli ultimi tempi un pochino la cosa sta cambiando però rimane sempre un problema grosso. Ad esempio i nostri dirigenti hanno grosse difficoltà per quanto riguarda l’utilizzo di internet, sia come strumento di comunicazione sia come mezzo utile ad effettuare operazioni strategiche di lavoro. Una volta abbiamo provato a comprare su internet alcuni gadget da distribuire ai donatori durante la campagna estiva, perché si potevano ottenere con dei costi molto inferiori rispetto ai canali tradizionali. Ovviamente abbiamo dovuto fare una grande litigata perché nessuno dei Dirigenti era d’accordo: per loro internet è uguale a un demonio. E noi non possiamo fare di testa nostra, il nostro potere decisionale è pari a zero, quindi alla fine ci siamo dovuti adeguare".
Valorizzazione delle differenze di genere Le dispari opportunità
"Le donne devono essere parte integrante dell’Associazione e devono assumere anche ruoli di responsabilità perché hanno una visione e una sensibilità diversa rispetto all’uomo: sono, secondo il mio parere, molto più attente ai bisogni, hanno una maggiore capacità di lettura delle esigenze e motivazioni che stanno alla base del gesto. Per esempio, per quanto riguarda la donazione del cordone ombelicale la promozione pensata e fatta dalle donne ha sicuramente un altro significato e un altro impatto, perché le donne conoscono il tema, le sfaccettature, i bisogni, le esigenze, i vissuti correlati, come ad esempio il fatto banale che una donna che dona il cordone ombelicale è due volte mamma, perché ha fatto nascere suo figlio e perché contribuisce ad un’altra nascita. Ecco, chi meglio della donna può spiegare una cosa del genere? Intendo dire che sono proprio queste cose che devono essere trasmesse e promosse: il significato, i vissuti, le emozioni e i bisogni che stanno alla base e dietro l’attività di donazione. E secondo me anche per quanto riguarda la donazione del sangue la donna ha una particolare e diversa sensibilità nel comprendere e trasmettere questi aspetti".
"Nel mio direttivo ci sono 3 o 4 donne: una che è entrata adesso e due probiviri. Sicuramente la presenza femminile ai vertici dell’associazione è meno massiccia rispetto a quella maschile. Questo dipende dal fatto che le donne hanno impegni
di famiglia molto più onerosi. Tenendo in considerazione che spesso le riunioni si fanno in orari serali dopo cena, è ovvio che a meno che una non sia una ragazza senza figli, risulta per loro molto difficile essere presenti. Io personalmente mi sono
impegnato ad ottimizzare i tempi: noi ci vediamo quattro sere al mese, una sera con la segreteria, una con la contabilità,
una con un altro settore, e una tutti quanti insieme. In modo tale da programmare per il mese successivo i lavori da fare.
Quando a queste riunioni/incontri viene la ragazza che ha due bambini, si porta la più piccola con sé, io mi porto mia figlia e mentre noi parliamo i ragazzini giocano. Avevo anche proposto, ai tempi, una forma di babysitting, quando facevamo le manifestazioni".
Cambiamento e progresso Identificarsi nell’associazione per favorirne il cambiamento
"C’è un consiglio nazionale troppo ‘vecchio’. Io sostengo che dopo due o tre mandati sia necessario dimettersi e lasciare il posto ad altri. Si può essere utili anche aiutando dalle proprie sezioni e dal proprio territorio. Non bisogna stare a forza nel consiglio Nazionale. E invece in Avis ci sono alcune persone da vent’anni. Allo stesso tempo io non riesco ad individuare persone che siano in grado di prendere il ‘testimone’ di chi lascia la posizione da dirigente o consigliere. Questo perché i soci donatori non sono preparati, non sono responsabilizzati e la colpa è sia nostra (dei dirigenti) che non lasciamo loro spazio sufficiente, sia dei soci donatori stessi che non sono motivati e non partecipano alla vita associativa. Io comunque sono presidente regionale da due mandati e ora lascio, anche se mi stanno pregando di fare il terzo, ma mi rifiuto di farlo perché non lo trovo giusto, non lo trovo eticamente corretto. Sono consapevole di poter aiutare anche supportando quello che sarà il nuovo presidente. E questo è l’importante, anche perché solo in questo modo le persone si possono formare: facendole provare! La mancanza di un ricambio e di formazione causa anche una forte demotivazione tra i soci che vorrebbero assumere posizioni di responsabilità: io l’ho visto in molte realtà Avisine italiane".
"Nella mia Avis regionale non c’è un ruolo "ufficiale" per i giovani. Io avevo il compito di coordinare in modo più
informale i giovani e questo mi ha portato ad essere anche uno dei tre membri eletti nella consulta nazionale, fino ad arrivare all’esecutivo giovani. Quindi al termine di questi quattro anni, avendo maturato esperienza a livello nazionale e grazie al supporto di vari membri dell’esecutivo che hanno potuto toccare con mano come i giovani avevano lavorato, ho chiesto se poteva essere utile una mia candidatura in consiglio nazionale. Mi è stato detto di sì. Tuttavia sono emersi dei problemi nel provinciale, perché la mia Avis regionale ha ancora un criterio prettamente territoriale sulla base del quale scegliere e selezionare i candidati.
Per intenderci, la mia provincia aveva a disposizione due posti: uno lo voleva una grande Avis comunale e l’altro posto voleva prenderselo il presidente provinciale uscente, già consigliere nazionale per questo mandato. Nonostante mi avessero detto che era utile la mia presenza in consiglio, nessuno ha mosso un dito per cambiare le cose. Uno degli aspetti che più mi ha dato fastidio è che queste decisioni le hanno prese durante l’assemblea provinciale in cui non ero presente. Ne sono venuta a conoscenza dopo, senza potermi opporre".